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Conoscere lo scafo: composizione e classificazione

La composizione dello scafo

La prima cosa da conoscere dello scafo quando si praticano crociere in barca a vela è la chiglia, un termine piuttosto noto anche ai non addetti ai lavori. A livello morfologico è una lunga trave a sezione rettangolare o quadrata e si trova nella parte più bassa dello scafo, dunque, nell’area preposta al galleggiamento dell’imbarcazione; questa trave longitudinale attraversa l’intera struttura da poppa a prua ed è posizionata al centro dello scafo; da qui partono le ordinate che vanno a formare l’ossatura dell’imbarcazione.

Nelle barche più piccole, la chiglia è solitamente composta da un unico elemento, mentre negli esemplari più grandi, la trave è formata da più parti composite. La sua diffusione risale al 1500 e venne usata, tra l’altro, sulle caravelle di Cristoforo Colombo, in quanto, proprio grazie alla chiglia, divenne più agevole compiere delle traversate oceaniche; difatti, è proprio questo elemento a dare una certa stabilità di galleggiamento alla barca. Tale funzione è importante anche se non si viaggia verso le Americhe a bordo di caravelle, ma si svolgono tranquille crociere in barca a vela. Altri elementi che completano la composizione dello scafo sono le madiere, la parte più bassa delle costole, le cui parti verticali sono dette scalmi, e lo staminale, ossia la curva che segue le madiere. Poi, una trave detta paramezzale tiene ferme le costole che si dipanano dalla chiglia, la quale si incastra, a poppa e a prua, con il dritto/ruota di poppa e con il dritto/ruota di prua, chiamato anche tagliamare. Inoltre, all’interno, lo scafo viene irrobustito tramite le travi serrette; tra queste ultime e il paramezzale, si colloca il pagliolato, un insieme di tavole. Infine, lo spazio tra quest’ultimo elemento e il fondo è chiamato sentina e raccoglie gli scoli e le acque che si infiltrano nello scafo.

La classificazione degli scafi

La classificazione degli scafi vede, fondamentalmente, due categorie: i dislocanti e i plananti. Nei primi, la spinta idrostatica, colei che tiene a galla l’imbarcazione, dipende solo dal principio di Archimede; a una certa velocità, detta critica, gli scafi dislocanti iniziano a creare dei vortici che causano una consistente resistenza idrodinamica; come conseguenza, non è possibile accelerare ulteriormente senza un enorme dispendio di energie.

I secondi, invece, al raggiungimento di una certa velocità, permettono che lo scafo plani sull’acqua, ma perdendo in stabilità in piccola misura. In caso di scafi dislocanti, non si superano i 40 nodi di velocità, perché l’imbarcazione perderebbe totalmente la propria stabilità; è questo il caso delle barche a vela, che difficilmente superano i 10 nodi di velocità. Un esempio di scafo planante è il motoscafo, che vediamo sfrecciare a sfioro sull’acqua.

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